Achille Campanile, con sapiente uso del lessico e con essenziale asciuttezza, costruisce, “un monumento, forse insuperabile, alla brevità”. Queste “Tragedie” sono state messe in scena per la prima volta nel 1925 e rappresentano un momento di grande innovazione nella storia della letteratura italiana del Novecento. Atti unici, le tragedie di Campanile ruotano attorno alla spiegazione del titolo e mettono in luce, con sottile arguzia, la paradossale pericolosità di luoghi comuni e osservazioni banali, scardinandoli dall’interno e dissolvendoli nella loro assurdità. Queste tragedie sono in realtà commedie: scenette teatrali basate sul ‘nonsense’ e sul paradosso, i cui protagonisti avranno poche battute a testa per giocare il loro ruolo e stupire, divertire o sconcertare lo spettatore. Qui ulteriormente e incredibilmente “ridotte” da Alessio Michelotti vengono inscenate dagli istrionici Bargi e Cariello, che con autentico spirito cialtronesco ne esalteranno ancor più il paradosso minimalista. Ecco… a forza di ridurre, lo spettacolo è già finito!
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